Storia di una fila da over 80

A piccoli passi, in Calabria sempre più piccoli che nel resto del mondo, la campagna vaccinale sta entrando nel vivo.
I vaccini stanno man mano arrivando e nonostante le incertezze sui lotti sospetti che hanno portato alla sospensione precauzionale di AstraZeneca, la maggioranza (per fortuna) rimane consapevole che il vaccino sia la soluzione (l’unica) per cominciare a intravedere la luce alla fine del tunnel, che spesso stiamo vedendo svanire proprio quando si inizia a vedere un timido bagliore.
Tra i primi a ricevere il vaccino, in quanto ritenuti più vulnerabili e quindi esposti a maggiori rischi nel caso dovessero contrarre il virus, ci sono le persone ultraottantenni. Da qualche settimana anche in Calabria – non senza difficoltà, come dimostrano le scene che provengono da Cosenza o Reggio Calabria – è arrivato il loro turno. Da qualche giorno, anche nel nostro paese.
Almeno loro, la nostra memoria storica, il patrimonio più importante rimasto a Campana, possono timidamente tirare un sospiro di sollievo, in attesa della seconda dose.
Oggi sono sicuramente meno vulnerabili rispetto a prima: questo ci conforta e ci solleva un po’ il morale.

Purtroppo però, anche nei punti vaccinali di Campana abbiamo dovuto assistere a scene di disorganizzazione, come quella personalmente vissuta sabato 13 marzo e che racconto di seguito per sollecitare qualche soluzione che possa facilitare la vita, anche in ottica futura, dei nostri cari anziani e di chiunque altro avrà l’opportunità di apprestarsi a ricevere il siero.
Quanto segue è semplicemente il racconto della mia personale esperienza vissuta durante il turno di vaccinazione delle ore 14:00.
Ho ricevuto la chiamata di mia nonna, che mi ha chiesto se potessi accompagnarla alle ore 14:00 per la tanto attesa vaccinazione. Da buon nipote, ho deciso di accompagnarla senza esitazioni.
Nella telefonata, ho ricevuto disposizioni bene precise:  «M’arraccumannu gioia e da nanna, alle 2 precise eh, un fare tardi!».
Così, ho pensato che una volta arrivati sarebbe toccato a lei, come se da calendario alle ore 14:00 fosse il turno di mia nonna. Ma, a quanto pare, il «m’arraccumannu alle 2 precise» è la frase che tutti gli ultra ottantenni presenti quel pomeriggio avevano detto ai loro nipoti, figli o parenti.
Di conseguenza, alle ore 14:00, una ventina (o trentina) o forse anche più di ultra ottantenni (più accompagnatori) erano tutti riversati tra l’interno ed l’esterno della guardia medica.
Nessuno conosceva l’ordine di chiamata, né tanto meno chi era lì per coordinare/gestire. Tutta un’incognita.
Tant’è che alla domanda: «In che ordine vengono chiamate le persone?» ho sentito risposte del tipo «ora vediamo come fare» oppure «a sentimento» oppure «c’è un plico di moduli, quello che è sopra viene chiamato» .
Ad ogni modo, se l’obiettivo organizzativo era quello di portare tutti gli anziani in un posto per essere chiamati “a sentimento”, sottoponendoli a lunghe attese, il luogo scelto non era assolutamente quello idoneo. Banalmente, non era possibile rispettare il distanziamento sociale: vaccinarsi è un diritto, farlo in sicurezza è un dovere.

COM’È STATA STRUTTURATA LA CAMPAGNA VACCINALE?
L’organizzazione delle vaccinazioni proviene da un accordo risultato di una riuniuone a livello provinciale tra Asp, medici e Comune dove i medici avevano il compito di reclutare i pazienti e indicare i possibili beneficiari, mentre il Comune doveva individuare il sito vaccinale e un amministrativo.

COME SI POTREBBE MIGLIORARE L’ORGANIZZAZIONE?
A mio avviso, sarebbe stato più opportuno organizzare il tutto in uno spazio più ampio, così da garantire il distanziamento sociale ed un posto a sedere al coperto a tutti gli ultraottantenni presenti. Ripeto, ultraottantenni. Non ragazzini di 20 anni.
Credo che l’organizzazione non abbia debitamente tenuto in conto della variabile metereologica: se le condizioni meteo fossero state avverse, la gente che aspettava fuori, sarebbe dovuta stare sotto la pioggia?
Personalmente, sono stato costretto a tenere mia nonna chiusa in macchina perché non c’era un posto a sedere libero per l’attesa, sia all’interno che all’esterno.
Inoltre, per evitare che l’affluenza al sito preposto alla vaccinazione si concentrasse tutta in una volta, sarebbe stato opportuno adottare un criterio di ordinamento per distribuire meglio i pazienti prossimi al vaccino.
Ad esempio, in ordine alfabetico, in ordine decrescente di età o in base al numero di prenotazione.
Inoltre, stimando il tempo medio per paziente, si potrebbe collocare ogni persona in una fascia oraria, in modo da evitare inutili attese e assembramenti.
Seguire un criterio organizzativo più preciso ha moltissimi benefici e non richiede l’ausilio di chissà quale strumento informatico super complesso: a volte, basta un foglio excel.

Il mio intento non è quello di banalizzare una cosa così complicata come vaccinare la popolazione nel bel mezzo della pandemia e non è nemmeno quello di “gabbudiare” l’operato dei soggetti coinvolti nella campagna vaccinale, ma, piuttosto, è la mia riflessione sull’esperienza che ho vissuto.
Secondo me si poteva fare meglio, si poteva pensare di più alle esigenze delle persone.
Non bisogna andare troppo lontano per trovare degli esempi di un’organizzazione più ragionata e virtuosa.
Ad esempio, trovo giusta l’intuizione di selezionare luoghi moto spaziosi, come le palestre, oppure quella di allestire alcuni gazebo, al fine di garantire un posto a sedere sicuro e protetto dalle intemperie anche all’esterno.

Fra poco meno di 20 giorni, se tutto procede come dovrebbe, ci sarà la campagna di richiamo e abbiamo l’occasione per cambiare le cose, soprattutto dal punto di vista logistico, trovando un luogo che garantisca almeno un posto a sedere opportunamente distanziato, per gestire meglio la situazione ed evitare inutili disagi alle persone più fragili, che sono proprio i nostri anziani, la nostra memoria e il nostro patrimonio e come tali vanno tutelati.